L'incisione è così descritta nella scheda di MAURO BERNARDINI, (Biblioteca Universitaria di Pisa):

 

Francesco VILLAMENA (Assisi c.1564- Roma 1624)
Ritratto di Galileo in cornice architettonica con elementi allusivi. Incisione di Francesco Villamena. Roma, 1623.
Stampa; bulino e acquaforte; 205x150mm (impronta)
Stato II/2?
ISCRIZIONI: (sul bordo ovale del ritratto) GALILEO GALILEI LINCEO FILOSOFO E MATEMATICO DEL SER.MO GRAN DVCA DI TOSCANA ; (in basso, a sin.) F.Villamoena Fecit
BIBLIOGRAFIA : Gori Gandellini-De Angelis 1816, v.XV, p.55; Favaro 1912-13, p.1002; Fahie 1929, p.14, tav.III; Bryan-Stanley 1949, II, p.655; Alessandrini 1965, p.80, n.49; Kühn-Hattenhauer 1979
PUBBLICATA IN: Galileo GALILEI. Il Saggiatore ... In Roma, appresso Giacomo Mascardi, 1623.
ESEMPLARI: BUP S.R.7.49
RISTAMPATA IN: Galileo GALILEI. Opere ... In Bologna, per gli hh. del Dozza, 1656.
ESEMPLARI: BUP C.k.5.21 ; DG Fa. 90

L'incisione sembrerebbe pubblicata in prima edizione a illustrazione dell'opuscolo galileiano Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari , stampato a Roma nel 1613 dallo stesso tipografo del Saggiatore, il Mascardi, e dallo stesso editore, l'Accademia dei Lincei. Proprio in quell'anno Villamena, ormai incisore di grande credito non solo a Roma, è nominato accademico di S.Luca. In questa edizione originaria, la stampa si presenta anonima (ma in tutti gli esemplari? E' stato fatto un sondaggio su un campione sufficientemente esteso?), senza il "fecit", inciso successivamente e che compare negli esemplari del Saggiatore. Per questo motivo e per le differenze stilistiche tra il ritratto e il frontespizio del Saggiatore, quest'ultimo sicuramente intagliato dal Villamena e con "l'equilibrata uniformità tecnica" di quel "bulino purgatissimo" tanto apprezzato dall'accademia neoclassica (Disertori 1923), Favaro dubitava dell'attendibilità di quella firma posteriore. Ma per quanto il corpus incisorio del Villamena sia "ancora non poco da definire, con integrazioni ed espunzioni" (Grelle 1989), l'attribuzione del Galileo non pare in discussione, e gli scarti formali improntano il percorso stilistico dell'incisore umbro, "tutt'altro che lineare...spesso bloccato da stalli e cadute di tensione...al contempo aperto" e sperimentale (Grelle 1989).

Piuttosto, i lineamenti e l'espressione del volto di Galileo appaiono in quest'immagine curiosamente senili, sia in relazione alla data del ritratto (1613), sia nel confronto coi documenti iconografici immediatamente precedenti, contemporanei e consecutivi (il dipinto attr. a D. Tintoretto, il busto del Caccini, il disegno del Leoni). Quasi si potrebbe sospettare che l'incisione sia stata effettuata nel 1623, a corredo dell'edizione del Saggiatore, e solo allora sia stata inserita nel fondo residuo dell'Istoria, tirata complessivamente in ben 1400 esemplari. Ma si tratta forse solo dell'effetto straniante di quello sguardo, tra il grottesco e il surreale, che l'ipocondriaco Villamena fissa su figure e volti imbalsamati con minuto realismo, e che incapsula anche il "filosofo e matematico linceo" in una sorta di portrait-charge, dove tipologia e stilemi di genere del ritratto inciso cinque-seicentesco (come la cornice architettonica con elementi allegorico-ornamentali) vengono applicati con pertinente e insieme ironica estrosità. Il volume galileiano edito da Giambattista Venturi tra il 1818 e il '21, con ampio corredo iconografico realizzato in ambiente neoclassico, sceglie non a caso le due immagini di Galileo che introducono alle due parti dell'opera: la seconda è il Suttermans degli Uffizi (cfr. scheda VI.2) che in quegli anni di primo ottocento diviene rapidamente, universalmente noto come l'icona galileiana di maggior valore documentario e artistico; la prima è la stampa del Villamena, in un'impeccabile "copia fedele" incisa e firmata da Ado Fioroni, indice della fortuna di cui gode presso la calcografia e la storiografia neoclassica questo incisore, allora considerato l'"ottimo fra i seguaci di Agostino [Carracci]".