L'incisione è così descritta nella scheda di MAURO BERNARDINI, (Biblioteca Universitaria di Pisa):

Jean Baptiste Fortuné de FOURNIER ( Ajaccio 1798-Parigi 1864 )
Ritratto di Galileo con cannocchiale, attribuito alla scuola di Giusto Suttermans. Disegno di Carlo Andrea della Porta, incisione di Fortuné de Fournier. Firenze, Luigi Bardi, 1837.

Stampa; bulino; 165x139mm (immagine) 264x212 (impronta)
ISCRIZIONI: (sotto l'immagine) Scuola di Sustermans dip. Carlo della Porta dis. F. De Fournier inc. / GALILEO GALILEI
BIBLIOGRAFIA: Lane-Browne 1896, p.555; Duplessis 1899, n.16; Favaro 1912-13, p.1028; Fahie 1929, p.55; Adhémar-Lethève 1954, VIII, p.137, n.2

PUBBLICATA IN: GALLERIA PALATINA. L'Imperiale e reale Galleria Pitti illustrata per cura di Luigi Bardi ... [Tomo I]. Firenze, coi tipi della Galileiana, 1837.
ESEMPLARI: BUP G.c.1.20

"...due sono le virtù del ritratto -scrive nel breve commento alla tavola Silvestro Centofanti, appena nominato professore di storia della filosofia all'università pisana- Con vera proprietà di forme egli ci debbe rivelare l'anima del grand'uomo che fu dipinto; egli è inoltre come una figura simbolica che molta storia dello spirito umano ci racconta sinteticamente al pensiero. Galileo è qui espresso nella calma e nella maestà del filosofo che non cerca i profondi veri, ma già li possiede e li pensa; che non dee recarsi in istudiate attitudini sì che altri conosca quel ch'egli vale, ma che si mostra pure quale è, e tutti gli fanno onore, e necessariamente lo intendono. Solo ha con sé il canocchiale, che diresti l'ornamento proprio di questa vita tutta celeste." Se l'enfasi platonizzante del Centofanti vagheggia le figure dello spirito ma non vede il dipinto, lo vede però e lo interpreta con acuta e sensibile finezza il conte ritrattista Carlo Andrea della Porta ( Gubbio 1809-1890 ) egregiamente coadiuvato dalla puntasecca del de Fournier.
Vincenzo Viviani, l'allievo diletto e primo custode delle memorie galileiane, dopo essersi fatto intermediario epistolare, nel 1656, tra la corte granducale ed Elia Diodati per riavere da Parigi a Firenze il Suttermans del 1635, nel comunicare al Diodati l'avvenuta felice consegna del dipinto a Cosimo III manifesta le proprie impressioni su di esso, mettendolo a confronto "con altro fatto pure dal medesimo pittore... quattro anni dopo... quale S.A. [il granduca] ha tenuto continuamente... in un salone del suo appartamento... oltre all'averne fatto collocare una copia nel luogo più cospicuo della sua galleria tra l'effigie dell'huomini illustri... Quel di V.S. [cioè il dipinto del '35] lo dimostra assai vivace, pieno di carne, illuminato, in atto di contemplare, e l'altro di S.A. lo fa piuttosto estenuato, già cieco et in posto di speculare, ma con ciglio più severo. La maniera poi della pittura è diversissima, perché il primo è finito con morbidezza e ritoccato con diligenza... il secondo è fatto di maniera più risoluta, tutto di colpi, con tinte che non si possono imitare et in modo che da vicino par strapazzato, ma veduto in distanza debita si rende ammirabile" (citato in Favaro 1912-13, pp.1015-6).
Gli specialisti che di recente hanno considerato la tela della Galleria Palatina, come Carlo Pizzorusso affiancato a Marco Chiarini in occasione della mostra Sustermans 1983 (Idem, pp.58-9), e Lisa Goldenberg Stoppato (Il Seicento fiorentino, I, p.324, scheda I.167) tendono a polarizzarsi sull'identificazione storica del dipinto e sull'attribuzione d'autore: Pizzorusso propende a crederlo di mano del Suttermans e a riconoscerlo nel commento del Viviani; alla Goldeberg invece non sembra né un autografo del pittore anversano, né il quadro esaminato da Viviani nella lettera a Diodati. Di quest'ultimo parere era anche Favaro, che già sottolineava il dato d'archivio ricordato dalla Goldeberg, e cioè un inventario seicentesco della quadreria di Palazzo Pitti dove risulta "Un quadro del medesimo autore [Suttermans] entrovi il ritratto del Galileo al naturale con le mani, che in una tiene un occhiale, con anello in dito, barba bianca e collarino bianco..."(citato in Favaro, ibidem, p.1018), quadro che secondo Favaro sarebbe poi uscito da Pitti mentre vi sarebbe rimasta la copia (a inquadratura ridotta, senza le due mani) citata nella lettera del Viviani, fatta fare da Ferdinando II per la galleria di uomini illustri.
Anche per Fahie si tratta di una copia, ma da un modello iconograficamente quasi facsimilare (con la mano destra visibile, ma senza l'avambraccio sinistro) da lui identificato con un dipinto allora (1929) nella collezione londinese Robinson (cfr. scheda VIII.A.2).

foglio 550 x 380
immagine165x139
impronta: : 264x212
procedimento: bulino