Antonio Favaro ha scritto del quadro (Atti del Reale Instituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, A.A. 1913-914, Tomo LXXIII – parte seconda, p. 120-121):

«…troviamo questa notizia che pure testualmente riproduciamo: “Un tableau de J.A. Laurent qui a été exposé au Salon de 1822 et a figure ensuite au Musée du Luxembourg represente Galilée en prison. Le philosophe vient de tracer sur le pilier de son cachot un dessin de son système astronomique et, plus convaincu que jamais de la verité, il semble répeter ce fameux mot E pur si muove! Cette composition a obtenu du xuccès lorsqu’elle parut; mais l’exécution en est mediocre: elle a été gravée au burin par Dien, par Chollet, et au trait par Reveil, dans la Galerie des Artes (VIII, pl. 126)”. Ora non è chi non veda l’affinità grandissima che passa tra la descrizione di questo quadro e quella minutissima che abbiamo già data, prima in pubblicazioni speciali e poi nella precedente nostra monografia intorno a questo argomento, del quadro recentemente scoperto a Roulers ed attribuito al Murillo: la sola differenza essenziale che passa tra l’una e l’altra consisterebbe in ciò che in quest’ultimo il motto vi si legge, e nel quadro del Laurent, così come apparisce dalla descrizione surriferita, è semplicemente detto che tale motto il sommo filosofo sembra ripeterlo, mentre a stretto rigore questo non potrebbe dirsi delle espressione e dell’atteggiamento di Galileo nell’altro.» Non dovressimo [sic!] aver bisogno di aggiungere che le più attive e diligenti indagini vennero da noi istituite per giungere alla conoscenza di questo quadro del Laurent, ma anzi tutto la Galerie des Arts, citata con tanta precisione dal Larousse, non esiste: siamo almeno indotti a tale conclusione dal fatto che non l’abbiamo rinvenuta non solo in Italia, ma nemmeno a Parigi ed a Londra, che è completamente sconosciuta ai direttori dei dipartimenti delle stampe della Bibliothèque Nationale e del British Museum ai quali ci siamo rivolti, che non la tgrovammo neppure indicata e citata nelle ricchissime bibliografie artistiche a tale uopo consuiltate, e che nella stessa “Maison Larousse”, da noi direttamente interpellata, non seppe darci ulteriori indicazioni che valessero a meglio identificarla e a metterci sulle tracce di essa. Finalmente le ricerche presso i vari negozianti di stampe di Parigi ci condussero a porre la mano proprio sulla incisisone del Dien (Imp. F Chardon ainé, 30 r. Hautefeuille, Paris. Au comptoir des arts, 3  rue Hautefeuille, Paris). Sotto di essa si legge “GALILÉE. E pur si muove”. Il quadro rappresenta una tetra prigione a vôlta nella quale la luce scarsa sembra venire da una finestra munita da una grossa inferriata sul cui davanzale stanno una brocca d’acqua e un grosso pezzo di pane. Galileo in piedi, avvolto nella solita pelliccia, e dell’età fra i quaranta e i cinquant’anni, mentre era invece prossimo ai settanta, con chioma abbondante ed arruffata e con lunga barba (ma per nulla rassomigliante ai ritratti che ne furono dipinti dal vero), tiene la mano sinistra sopra un libro collocato su di un rozzo tavolo e tende la destra nella quale tiene un oggetto di forma circolare, che non si comprende bene che cosa rappresenti, verso alcune figure geometriche ed astronomiche  tracciate sopra un pilastro, delle quali una indica la terra che gira intorno al sole: poco più sotto sta infitto un anello dal quale pende una grossa catena. Dietro Galileo è una rozza poltrona di legno sulla quale è gettata una coperta: sulla parete e in alto, una croce con una corona di spine. E se noi non ci inganniamo, ci parrebbe quasi  di poter affermare che all’autore di questo dipinto non era sconosciuto quello attribuito al Murillo.»